La filosofia antica ci insegna ad accettare la nostra morte. La filosofia moderna, la morte degli altri.
(Michel Foucault)

 

Come psicologo, la mia missione nel mondo è aiutare le persone a stare meglio. Oh, è una missione più grande di me, di tutti noi, statene certi. Non importa quello che vi raccontiamo.

Non significa che non possiate stare meglio, andando da uno psicologo, intraprendendo un percorso di psicoterapia, che prima ancora che percorso di guarigione, è percorso di conoscenza. Se la pensassi così, avrei già smesso da tempo con questa bellissima e destabilizzante professione.

Potete stare meglio attraverso un percorso di psicoterapia, ma la missione di aiutare le persone a stare meglio rimane comunque più grande di noi terapeuti. Come un koan zen risolvibile solo nel momento in cui accetti il paradosso.

Le persone vengono da noi per stare meglio, e il paradosso, il passaggio più difficile per riuscire a stare bene è imparare a stare male.

Penso che il pensiero positivo sia come il sonno della ragione (ripensandoci, forse è esattamente la stessa cosa), e generi mostri.

Il web è pieno di mostri. Che ti dicono che ogni crisi è un’opportunità, che viviamo nel migliore dei mondi possibili anche se non sembra, che dobbiamo abbracciare il cambiamento, crescere, crescere, crescere.

Che se non ci riesci, la colpa è solo tua.

Colpa tua che ti abbatti, che hai paura per la precarietà del tuo futuro, che lasci entrare le emozioni negative, che ti circondi di persone che custodiscono un dolore, che ogni sera prima di andare a letto non ringrazi per le cose belle che la vita ti ha dato.

Ora, anche se non mi piace il concetto di “distorsione cognitiva” (chi è che decide qual è la visione corretta, del resto?), le lenti con cui vediamo il mondo e gli diamo senso, qualcuno direbbe i costrutti e i significati personali, esistono. In psicoterapia andiamo proprio alla loro scoperta, rendiamo esplicito ciò che prima non lo era. Ma non è di questo che voglio parlare in questo articolo.

No, qui mi chiedo quand’è che esattamente abbiamo smesso di indagare il dolore, e abbiamo iniziato a indagarlo dicotomicamente, su un asse bene/male, giusto/sbagliato, positivo/negativo?

E non mi riferisco agli psicologi, che nel privato dei nostri studi ci comportiamo mediamente molto meglio di quanto non mostriamo nelle nostre belle ads a pagamento – guidate probabilmente da quella stessa, profonda insicurezza che ci ha spinti ad abbracciare una professione di aiuto così delicata -. Mi riferisco a noi esseri umani.

La colpa è tua, dicono. Se il tuo progetto non decolla. Se la tua vita fa schifo. Se non trovi amore attorno a te. Se non riesci a darlo.

Certo, la chiameranno “responsabilità”, “opportunità”, non colpa. Te lo metteranno giù in modo da spronarti a dare il meglio di te, sempre. A vedere le cose da un altro punto di vista. C’è sempre un altro punto di vista, dopotutto. Come si dice? “Io non perdo: a volte vinco, a volte imparo”.

Ma sotto sotto, ti stanno dicendo che non puoi perdere, mai. Non vorrai mica perdere, figliolo? Rialzati. Ogni volta. Ogni. Dannata. Volta. Che noi non siamo mica dei fottuti perdenti, qua.

Non fraintendetemi: perdonare i propri fallimenti, imparare qualcosa, aiuta a stare meglio.

E allora perché ogni volta che leggo queste frasi, ho l’impressione che sotto sotto il fallimento non sia mai contemplato da chi le pronuncia?

Il pensiero positivo crea monadi, uomini isola alienati e dissociati dal proprio contesto. Uccide la solidarietà. Scarica il peso della tua sconfitta sulle tue spalle, quando attorno a te il mondo sta bruciando e tu sei solo un essere umano non ignifugo.

Uccide la tua umanità, la tua capacità di empatizzare con gli sconfitti. Quei falliti depressi che non riescono ad alzarsi dal letto. Non vorrai essere come loro? Tieni le 5 regole per avere il perfetto mindset del vincente.

La ricetta facile per avere il controllo sull’incertezza, sulla precarietà della propria vita.

Perché è questo che il pensiero positivo fa. Come la copia in negativo delle teorie del complotto sul piano sociale, ti illude di avere un controllo sugli esiti della tua vita.

Segui queste 5 regole, e svolterai. Te lo garantisco. Non ci riesci? Colpa tua (pardon, responsabilità) che non ti sei impegnato abbastanza.

Ti illudono di avere un controllo. Sei un uomo isola, e niente può scalfirti, perché hai il potere di alterare le tue percezioni, di vedere l’opportunità nel fallimento e nella crisi, l’esterno non esiste. Tu sei tutto. Di nuovo quel rassicurante senso di onnipotenza di quando eri un neonato, e attorno a te tutto era una tua estensione, esisteva per te, solo per te.

La tua vittoria, il tuo successo, il tuo benessere dipendono solo da te.

E quando dipendono solo da te, dipende solo da te anche la tua sconfitta, il tuo stare male, il tuo dolore. Questo però i guru del pensiero positivo non te lo dicono mai. Ma dentro di loro lo pensano, e forse non ne sono nemmeno consapevoli, che tutto il tuo dolore è colpa tua. Loser.

Guarda bene dietro lo schermo dei loro sorrisi, e vedrai tutto il loro disprezzo. Odiano il bellissimo, irripetibile e ferito essere umano a cui stanno cercando di vendere le loro regolette, il loro corso.

Non credo che la maggior parte siano persone cattive. Credo che la maggior parte dei guru del positive thinking siano inconsapevoli di questo meccanismo. Penso che spesso chi ti dice di vedere l’altra faccia della medaglia sia mosso dalla paura di vedere con i propri occhi il lato oscuro della luna.

Mi accingo a concludere questo post, penso che forse non ho detto nulla di particolarmente originale. Penso si tratti di concetti tutto sommato banali, ma che non sia banale ricordarli spesso.

Non so cosa abbiate provato leggendolo. Ma se questa apologia del diritto di stare male vi ha un minimo alleggerito e fatto sentire compresi in quello che provate, se vi ha fatto anche solo per un momento stare appena un po’ meno male, allora penso che la soluzione di quel koan zen di cui dicevo all’inizio sia alla fine tutta lì.

Grazie per esserci arrivati in fondo.